lunedì 30 maggio 2011

Umbricelli al ragù... che deve pippiare

Mentre in quel di San Marcello (Ancona) i maestri Adriano e Paoletta tramandavano l'antica arte del babà e della panificazione (di cui vi dirò nei prossimi giorni), mio marito, abbandonato per il fine settimana, preparava gli umbricelli, declinazione umbra della pasta acqua e farina. Sapete bene che, nella guerra fredda umbra/marchigiana che si scatena in casa nostra, io strenuamente difendo la mia regione. Ma oggi, ebbra della bagna del babà e pacificata da due giorni di assoluta felicità tra pane cafone, lumachine e freselle... cedo il passo e vi lascio al suo racconto.


Ingredienti (per 4 persone)
½ chilo farina 0,
acqua quanto serve per un'impasto morbido ma sostenuto.

Come procedere
Racconta la mia mamma che sua madre, nonna Ida, riuscisse a fare un unico lunghissimo “umbricello” dal chilo di farina che lavorava semplicemente con l’acqua. Impastando piano piano, senza aggiungere sale o olio d’oliva ma semplicemente acqua e farina, otteneva un’amalgama simile a quello della torta al testo, sufficientemente molle ma senza esagerare perché altrimenti poi si corre il rischio che gli “umbricelli” si attacchino. E veniamo allora a descrivere questo “umbricello”. Una volta ottenuto l’impasto ed adeguatamente lavorato, nonna Ida cominciava a fare gli “umbricelli” rotolando tra le mani e la spianatoia la pasta che veniva allungata fino ad ottenere uno spaghetto abbastanza spesso e lunghissimo, senza interruzioni, steso a mo’ di serpentina lasciando poi alla fase di cottura l’inevitabile rompimento, in più punti, dello spaghetto. Io invece mi sono limitato a staccare pezzetti di pasta che poi ho lavorato singolarmente fino ad ottenere degli “umbricelli” lunghi una venticinquina di centimetri e spessi meno della metà del mignolo. Occorre fare attenzione a spolverati spesso con un po’ di farina, in modo da evitare che si appiccichino quando si tirano su per cuocerli sull’acqua bollente. L’acqua va semplicemente salata e poi gli “umbricelli” immersi fino a che non tornano su. Quindi appena qualche minuto di cottura e poi via, subito a scolarli e condirli. Alla semplice farina di tipo 0 si può mischiare anche un po’ di farina di grano duro per rendere gli “umbricelli” un po’ più tostarelli.

L’unico modo per mangiarli è accompagnarli con un potente sugo di carne e una abbondante spruzzata di parmigiano. L’esito è spettacolare. È forse una delle paste al sugo migliori che mi sia mai capitato di mangiare, insieme ai cannoli con ripieno di carne sempre al ragù. Val la pena ricordare che il sugo deve “pippiare” per ore, come dicono i miei amici campani (traduzione della padrona di casa: borbottare sul fuoco moderato). Dopo aver preparato il soffritto con olio, sedano, carota e cipolle finemente tritate (a piacere), salato il tutto, si aggiunge la carne da sugo a cominciare da qualche pezzetto di pancetta. Le salsicce, prima di aggiungerle, vengono sbollentate un paio di minuti per togliere un po’ di grasso. Questa procedura vale anche per i fegatini e le coratelle che si vogliano aggiungere al sugo ed eventualmente anche per le ossa. Si tratta semplicemente di immettere in cottura della carne " sgrassata da una scottatura in acqua”, come dice mia madre. L’eventuale carne macinata da aggiungere, per renderla più saporita può essere mischiata con una salciccia e comunque va salata e pepata con l’aggiunta di pezzettini d’aglio per poi farne polpettine. Una volta aggiunta tutta la carne si fa “caldellare” ben bene. “Caldellare” è un termine dialettale perugino che significa cuocere la carne prima di aggiungere la passata di pomodori. L’olio iniziale per il soffritto deve essere abbondante, successivamente, a caldellatura avviata, si aggiunge un po’ di vino bianco buono che va fatto svaporare e poi, all'occorrenza, per evitare che la carne rimanga troppo asciutta, si aggiunge un po’ di acqua bollente. Dopo una mezz’oretta di caldellatura si aggiunge la passata di pomodoro e un po’ di polpa concentrata e si lascia “pippiare” il sugo a fuoco lento per almeno un paio di ore, sempre controllando che non si attacchi. Aggiustare di sale se necessario. Il risultato è un sugo di carne straordinariamente ricco e saporito che oltre a regalarvi dell’ottimo umido sarà il condimento imprescindibile per gli “umbricelli”.



Concludo questo mio contributo alla tradizione culinaria umbra con una nota sul nome “umbricelli”. Ovviamente si tratta di una riflessione che non ha alcuna scientificità ma, così, ad orecchio, ho sempre pensato che la parola “umbricelli” contenesse sia il riferimento all’Umbria che un riferimento ai “vermicelli”: la forma allungata dello spaghetto, la sua consistenza molle, potrebbero aver indotto i primi facitori di questa pasta ad equipararla scherzosamente a dei lunghi vermi!

Nota della padrona di casa: per ogni dubbio scrivete, vedrò di farvi avere in poco tempo la risposta!!!!

lunedì 16 maggio 2011

Le olive fritte e l'avvento della ferrovia

C'è del genio in terra marchigiana, se nel 1800 un cuoco - rimasto anonimo - ha pensato che anche un'oliva potesse essere fritta! Inventate molto prima che il finger food divenisse la misura della cucina di tendenza, le olive fritte all’ascolana sono ripiene con con un misto di carni, amalgamate con uova e parmigiano, e fritte.



Un vero "cibo di strada", consumato a tavola nei giorni di festa e la domenica. Non si sa bene chi l'abbia inventate, ma i ricettari delle famiglie nobili di Ascoli Piceno ne conservano gelosamente il segreto. Ognuno il suo! Quello che si sa è che la ricetta originale si è trasformata in quella attuale dopo il 1860, grazie allo sviluppo della rete ferroviaria: con l'arrivo dei treni, arrivò nelle Marche anche il parmigiano. Prima di allora si usava il pecorino, che conferiva alle olive un sapore molto più deciso. Ma la particolarità- che, vi avviso, può creare dipendenza - non è nel ripieno che, malgrado le diverse versioni familiari, risponde a un analogo filone, quanto l'oliva. Divenuta Dop nel 2005, l’oliva tenera ascolana è carnosa e - ovviamente - tenerissima; il suo gusto inconfondibile, unito a quello altrettanto importante del manzo e del parmigiano, fa la vera differenza e rende unica questa preparazione.

Ingredienti per il ripieno
600-700 gr di carne (non macinata): manzo magro (70%), maiale (20%) e pollo (10%),
1 kg di oliva tenera ascolana Dop (tante olive!!!),
150 gr di parmigiano grattugiato,
lardo del prosciutto,
un uovo intero,
olio evo e una noce di burro,
cipolla, carota e sedano,
vino bianco,
noce moscata,
sale.

Per la panatura
Farina, 3 o 4 uova, pangrattato. Inoltre olio per friggere.

Come procedere
Come un po' tutte le ricette, ogni famiglia ha la sua: qualcuno aggiunge la mortadella all'impasto, qualcun'altro il fegatino di pollo o un po' di salsa di pomodoro, altri ancora la buccia di limone. Questa è la ricetta di “casa mia”: tagliate a bocconcini la carne e fatela stufare, a fuoco lento, con il lardo del prosciutto e il trito di cipolla, sedano e carota in olio e poco burro, aggiungendo vino bianco e, solo se necessario, un po’ d’acqua. La carne deve rilasciare i propri umori senza asciugarsi troppo. Togliete dal fuoco e macinate; aggiungete l'uovo, il parmigiano e la noce moscata. Ammorbidite il ripieno con il sughetto rilasciato in cottura e regolate di sale. A questo punto cominciate a snocciolare le olive con il coltello.



Ci vuole pratica e pazienza: dovete ottenere una spirale, unita, senza rompere la polpa. Ricostruite l'oliva intorno a una pallina di ripieno e passate alla panatura: farina, uova battute con un pizzico di sale e pangrattato.

Siete pronti per friggere o per congelare. In questo caso, quando le utilizzerete, friggete le olive ancora surgelate. Servitele caldissime.

Le mie olive le trova anche QUI

mercoledì 11 maggio 2011

Smilla non c'è più

Oggi nessuna ricetta. Smilla se ne è andata e non riesco a consolarmi. L'ho trovata buttata nel pattume tre anni fa. Piangeva disperata. E non ho resistito....


Aveva appena dieci giorni, completamente nera e gli occhi ancora chiusi; le speranze che riuscissi ad allevarla era molto scarse, ma fortunatamente ero in ferie e lei molto molto tenace. Ancora mi ricordo le proteste di mio marito, perché la colonia cresceva. Io trovo sempre qualche gatto malato, da curare, da sistemare. Non so più quanti ne sono passati in casa nostra e hanno usufruito del servizio "pronto soccorso felino". Così cercavo di consolare mio marito: "Dai, che se riusciamo a salvarla, poi le troviamo una casa!". Smilla dormiva in una scatolina vicina al nostro letto insieme a un grosso peluche che la teneva calda; biberon ogni 3-4 ore anche in piena notte. Alla fine non se ne è più andata. I miei quattro gatti l'hanno accolta, con tanta pazienza... perché col tempo è diventata una tiranna! Mio marito se n'è innamorato ed è diventata la "sua" gatta. E' uno dei gatti più intelligenti che ho incontrato per via e, credetemi, non sono pochi! Ieri l'ha uccisa una macchina. L'abbiamo seppellita sotto un albero.

E per una che se ne va una arriva, con un simile destino.



Questa è Petunia: l'abbiamo trovata tre settimane fa in mezzo alla strada, girava intorno al corpo della mamma, finita sotto una macchina mentre la stava spostando chissà dove. E che potevamo fare??? Raccolta e accolta: ora è svezzata, mangia da sola e per lei stiamo cercando una nuova casa. Ah dimenticavo. Il belloccio rubacuori che al momento la sopporta è Zecca, con noi ormai da sei anni... padri a volte si diventa!

lunedì 9 maggio 2011

Il pesto povero della Hornby

Una ricetta profumatissima, perfetta per l'estate che verrà, che mi da l'occasione di segnalarvi questo libro delizioso: "Un filo d'olio" di Simonetta Agnello Hornby.


Indimenticabile la sua "Mennulara", ironico e appassionato. Ora torna alle stampe per la Sellerio con questo delizioso racconto di famiglia, in cui intreccia ricordi di bambina alle ricette di nonna Maria. "L’idea - scrive - era quella di far rivivere la cultura della tavola di casa nostra attraverso le sue ricette, fotografie d’epoca e alcune pagine 'narrative' per le quali avrei attinto ai nostri ricordi e ai racconti di mamma". Rispettate tutte le aspettative: ne nasce un ricettario di famiglia, semplice e goloso, ma anche una storia di legami e affetti. Piacevolissimo, da acquistare!


Ciò detto, ecco la ricetta del "pesto povero".

Ingredienti (per 4 persone)
1 tazza da latte di foglie di basilico,
1 tazzina di caffè di foglie di prezzemolo,
3-4 foglie grandi di salvia,
1 cucchiaio di aghi di rosmarino,
1 cucchiaio di foglie di menta,
la buccia sottile di 1/4 di limone,
1 pomodoro piccolino con semi e buccia,
1 spicchio d'aglio,
5-6 mandorle,
4- 5 cucchiai di olio,
sale e pepe.

Variante obbligata: al posto del pomodoro piccolo 3 pomodorini piccadilly (avevo solo quelli) .

Come procedere
Mettete nel mixer tutte le erbe, il pomodoro (che conferisce al pesto un colore diverso dal verde brillante a cui siamo abituati) aglio, mandorle. Tritate aggiungendo l'olio a filo: il pesto deve rimanere denso, come da ricetta originale. Condite la pasta aggiungendo 2 cucchiai di acqua di cottura e parmigiano (o pecorino) grattugiato.



Il primo aroma che vi resta in bocca è il basilico, poi arriva la salvia che lascia in fondo la menta e il limone. Un pesto dal sapore mutevole e intenso, come la scrittura della Hornby.

E con questa ricetta partecipo al contest di GustoShop dedicato alla primavera.

venerdì 6 maggio 2011

Torta al testo "finger food"

Doppio esperimento: uno riuscito, uno fallito. Partiamo dai successi. Della torta al testo versione tradizional-popolare vi ho già detto tutto qui. Da tempo pensavo di preparne una versione finger food e alla fine ci sono riuscita!


Ma (e vengo al fallimento) l'idea era di provarne una versione ardita e post moderna: caffè nell'impasto e lardo di colonnata nella farcitura. A dirla così sembrava una bella idea, anche un po' chic. Le tortine che vedete in foto sono proprio quelle geneticamente modificate: caffè solubile aggiunto alla farina, in ragione di un cucchiaino raso per etto e mezzo, e niente parmigiano. L'esperimento non è riuscito: l'effetto finale è una robetta gommosa e neanche troppo gradevole. Non so se dipende dalle dosi, ma riproverò. MENTRE... le tortine classiche e farcite in monoporzione sono state un successo. Per cui vi ripeto ingredienti e procedimento.

Ingredienti (circa20-25 tortine)
500 kg di farina 0,
1 bustine di lievito per pizza,
1 cucchiaio scarso di parmigiano reggiano grattugiato,
1 cucchiai di olio evo,
mezzo cucchiaino di sale,
acqua q.b.

Come procedere
Disponete la farina sulla spianatoia a fontana, già mescolata a sale e parmigiano. Aggiungete il lievito, poi cominciate a versare acqua un po' alla volta. Aggiungete anche l'olio e continuate a raccogliere tutta la farina; lavorate il composto fino a ottenere una palla elastica e morbida. La torta non necessita di lievitazione, basta che riposi un decina di minuti. Stendete l'impasto con il mattarello come fosse una pizza. Con queste dosi si ricava una torta al testo tradizionale, ma nella versione finger food, a questo punto, dovete ricavare con un tagliapasta le singole tortine, rimpastando i ritagli. Fin qui niente di preoccupante. La cottura, invece, è un po' laboriosa.



Il testo di ghisa (tipico umbro) deve essere molto caldo, quindi va da se che vi scotterete più e più volte le mani nel tentativo di girare le tortine. Ci vuole pazienza, giratele almeno un paio di volte: è ora di girarle quando si staccano da sole dal testo. Nella versione tradizionale si considera pronta la torta quando “suona”, ovvero quando, colpendola con coltello, fa risuonare un toc sordo. Ma questo non succederà con le singole porzioni: più o meno bastano una decina di minuti per la cottura. Farcitele con lonza, prosciutto, straccino e rucola. Andranno a ruba, come le ciliege!

giovedì 5 maggio 2011

Uova strapazzate con gli strigoli

Questo post non era in programma, per cui mi scuso per le foto che sono state scattate in fretta in fretta... strappate a bocche fameliche. Il mio ortolano di fiducia aveva in mostra un bel mazzetto di strigoli e non ho resistito.



Sono un'erba spontanea che in cucina si utilizza nei risotti, nei ripieni per la pasta all'uovo o per le frittate, anche aggiunti nell'insalata se sono molto teneri. Il periodo di raccolta è da aprile ai primi di maggio, ma dipende anche dal clima: comunque prima che fioriscano.


Questa non è proprio una ricetta, perché non c'è nulla che non sappiate fare, ma vi assicuro che l'abbinamento è gradevolissimo. Il sapore degli strigoli ricorda un po' il pisello. Per 4 persone: fate saltare in padella con un filo olio due fettine di guanciale tagliate a dadini e aglio fresco (parte verde compresa), lasciate rosolare e aggiungete una decina di pomodorini tagliati in due (io avevo a disposizione i piccadilly). Mantenete sul fuoco ancora 5 o 6 minuti. A questo punto buttate in pentola anche gli strigoli, devono appena appassire. Regolate di sale. A parte battete 4 uova con un cucchiaio di parmigiano, sale e pepe. Versate le uova sugli strigoli e strapazzate: a me piace che l'uovo rimanga morbido. Servite su fette di pane casareccio bruscate: io non ho fatto in tempo!!!

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